Non è una novità: un bel volto sorridente è più attraente di una faccia seria. Pensate ad una commessa che vi accoglie in negozio con un bel sorriso sincero, probabilmente vi sentirete più disposti a valutare positivamente i prodotti che vi offrirà. Fin qui nulla di nuovo sotto il sole, il sorriso è chiaramente uno degli strumenti di marketing più utilizzati e più persuasivi di sempre. Ma se finora abbiamo utilizzato il sorriso nella comunicazione solo in maniera intuitiva, adesso le neuroscienze possono fornirci alcune spiegazioni e alcuni consigli.

Perché i sorrisi vendono?
Negli ultimi anni sia i ricercatori della Stockholm School of Economics che quelli del Max Planck Institute di Plön insieme agli studiosi della Toulouse School of Economics, hanno condotto diversi studi volti ad indagare il potere del sorriso e tutti sono arrivati alla medesima conclusione: sorridere funziona davvero. I volti sorridenti suscitano gioia, ispirano maggiore affidabilità, sembrano più attraenti e più intelligenti. Questi fattori ci mettono a nostro agio, ci rendono a nostra volta di buonumore, influenzano la nostra capacità di elaborare le informazioni e ci predispongono positivamente verso i prodotti.

La scoperta più rilevante consiste però nel come e perché questo avviene nel nostro cervello. Si tratta di contagio emotivo, il nostro meccanismo biologico più primitivo di condivisione emotiva e relazione, il precursore dell’empatia. Ogni volta che vediamo un’espressione facciale i nostri neuroni specchio ci fanno vivere le stesse emozioni che visualizziamo. Siano esse tristi, felici o preoccupate.

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Consigli di neuromarketing
Ovviamente il sorriso non è la panacea di tutti i nostri mali. Pensate alle immagini di moda, riescono a vendere anche se raramente troviamo una modella sorridente sulle riviste patinate. Lo stesso vale per i prodotti ad alto coinvolgimento e che pretendono una decisione ben informata, come i prodotti tecnologici. In questi casi non sarà un sorriso a far la differenza. Nei prodotti a basso coinvolgimento invece, come gli articoli di base o i prodotti a basso costo, un semplice sorriso può contribuire a predisporre un atteggiamento generale più positivo verso il brand. Ma come utilizzare i sorrisi nel modo giusto senza apparire banali e stucchevoli? Ecco qualche consiglio ricavato da alcuni studi.

1. Sorriso sincero e sorriso forzato
Tutti gli studi concordano: i sorrisi sinceri ispirano maggiore fiducia rispetto ai sorrisi sociali. Come si riconosce un sorriso genuino? Ha gli angoli della bocca arricciati verso l’alto e contrae anche i muscoli che circondano gli occhi, formando le tipiche zampe di gallina. Questa espressione è stata chiamata “sorriso di Duchenne”, dal nome del medico francese che la osservò per la prima volta, ed è difficile da riprodurre volontariamente proprio a causa dei muscoli che coinvolge. Per questo ingaggiare un attore che sappia eseguirlo alla perfezione è il primo passo.

2. In compagnia è più spontaneo
Un sorriso diretto verso l’obiettivo della fotocamera o è in grado di bucare lo schermo, o difficilmente risulterà autentico. Cosa fare quindi? Meglio uno scambio di sorrisi tra due o più personaggi, risulterà più genuino.

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3. Basta un richiamo
Anche un richiamo, una forma, un simbolo o degli oggetti che richiamano un viso sorridente hanno lo stesso potere di un sorriso vero. Questo meccanismo che si attiva in automatico nel nostro cervello si chiama “pareidolia” e ci permette di vedere volti ed espressioni in oggetti e profili più o meno casuali. Ricordate i Sofficini?

4. Riequilibra le emozioni negative
Il contagio emotivo attuato dai nostri neuroni specchio vale per qualsiasi tipo di emozione, non solo quelle felici. Attenzione quindi se facciamo ricorso ad emozioni negative! La tristezza per esempio può funzionare bene per una campagna di beneficenza, ma è stato dimostrato che attiva meno il pubblico a compiere un’azione. In questi casi aggiungere un sorriso in prossimità della call-to-action della donazione riequilibrerà le emozioni del pubblico, li farà stare meglio e li inviterà all’azione.

Per concludere, le emozioni sono meccanismi contagiosi e potenti. Utilizzarle male rischia un effetto boomerang per il proprio brand; utilizzarle a proprio vantaggio non è un’impresa semplice ma può dare grandi risultati. Anche questa volta il neuromarketing ci consente di non brancolare nel buio.

Fonti: Journal of Consumer MarketingScience DirectNewNeuroMarketing