Gli scorsi 14 e 15 aprile a Roma sono stati la volta della prima edizione di Certamente, gli Italian Neuromarketing Days. Nel cuore di Roma i due giorni sono corsi in modo intenso, e sono stati tanti gli spunti di riflessione forniti dai relatori internazionali.

Si è cercato di comprendere in che modo le neuroscienze possano aiutare il business a crescere, a superare con successo le sfide del mercato moderno, a coinvolgere emozionalmente i consumatori. Perché, sia chiaro una volta per tutte, in questa era sovraccarica di informazioni senza emozioni non andiamo da nessuna parte, non riusciremo a farci desiderare e a farci ricordare. Dobbiamo comprendere chi è davvero il nostro pubblico e conoscerne opportunità e limiti.

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In che modo è possibile venire a conoscenza di tutte queste informazioni sui nostri consumatori? Per fortuna le neuroscienze possono fornirci delle risposte concrete, permettendoci di prevedere i risultati prima ancora di fare gli investimenti. Come potete immaginare sarà pertanto impossibile essere esaustivi in soltanto 10 consigli, ma vogliamo comunque fornirvi alcune suggestioni venute fuori dal convegno, da cui prendere spunto e con cui comprendere le potenzialità di questo approccio scientifico al marketing e alla comunicazione.

1 L’approccio razionale è obsoleto
Alberto Mattiacci – Presidente Società Italiana Marketing e Prof. in Economia e Gestione delle Imprese

Il dibattito sul marketing è obsoleto e l’approccio razionale presenta dei limiti. I consumatori non comprano più per bisogno, ma per desiderio. Parlare di branding è un modo sofisticato di fare mercato: discutere di bisogni significa parlare alla testa, mentre il branding deve pensare ai desideri degli utenti per trasformarli in bisogni. È questa l’innovazione profonda del marketing: assumere05 la soggettiva delle persone e non quella aziendale.

2 Il cervello umano ha memoria e attenzione limitate
Fabio Babiloni – Docente di Fisiologia presso l’Università La Sapienza di Roma

La corteccia cerebrale ha 10 GB di memoria, meno di un comune smartphone, ed è costretta a selezionare le informazioni da ricordare. Anche l’attenzione è una risorsa limitata perché i processi attenzionali ci costano energia. Il neuromarketing aiuta a misurare la percezione al fine di ottimizzare l’architettura della comunicazione e risparmiare energie e risorse, cerebrali ed economiche.

3 Le neuroscienze possono misurare le emozioni
Michela Balconi – Docente di Neuropsicologia e Neuroscienze Cognitive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore

I comportamenti sociali sono influenzati dalle emozioni e dai meccanismi di ricompensa. Entrambi sono processi automatici e sfuggono al nostro controllo. Le neuroscienze hanno però introdotto nuovi strumenti, tecniche e metodi che consentono di leggere i segnali verbali e non verbali della comunicazione, i quali sono intrisi di emozioni.

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4 Chi compra è più importante di chi vende
Lluis Martinez-Ribes – Consultant Partner presso m+f=!

Non ha senso chiedersi se privilegiare il B2B o il B2C, bisogna tenere conto che il mercato è sempre un H2H, Human to Human. Misuriamo quello che vogliamo, ma se non si è nella vita dei nostri consumatori non si sta facendo veramente marketing. Il consumatore vuole sentirsi dire cosa puoi fare per la sua vita, in che modo il tuo prodotto può aiutarlo. L’obiettivo della comunicazione non deve essere quindi parlare, ma far provare delle emozioni ai consumatori: è questo il driver più importante nella customer experience.

5 Le neuroscienze aiutano a mantenere le promesse del brand
Gaia Spinella – Brand analysis and monitoring presso TIM

Il brand non è solo un nome, un logo o un prodotto, è una promessa (da mantenere). Quando si fa un re-brading è fondamentale non disorientare il consumatore. In questo l’indagine biometrica può aiutare a valutare la riconoscibilità percepita del nuovo logo, e ad evitare rischi per il business.

6 Non si può fare neuromarketing senza conoscenza
Gesa Lischka – CEO Kochstrasse

Il problema del neuromarketing? Spesso nelle aziende mancano l’expertise interna e l’integrazione dei processi, questo complica la scelta degli investimenti. Il neuromarketing però, rivelando priorità e motivazioni insospettabili che spingono i consumatori all’acquisto, ci aiuta a comprendere perché i prodotti non performano e a spiegarlo alle aziende. Senza il neuromarketing diventa più difficle rivelare i veri brand asset, riposizionare un brand o convincere gli stakeholder.

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7 Mettere di buonumore il consumatore aumenta la probabilità che compri
Elissa Moses – CEO Neuro & Behaviour Science Ipsos

Gli esperti di marketing devono fare in modo che il neuromarketing entri a far parte della ricerca quotidiana. Le neuroscienze ci hanno aiutato a comprendere per esempio che mettere di buonumore i consumatori può influenzare in modo misurabile il comportamento d’acquisto. Regalare un semplice fiore al consumatore lo porta a focalizzarsi più sul prodotto e meno sul prezzo, aumentando la probabilità che compri e spenda di più, anche online.

8 Le emozioni conducono all’azione, anche nel fundraising
Francesco Ambrogetti – Fundraising marketing Director presso UNICEF italia

Il comportamento di donare è dettato dall’emozione più che dai fatti reali. La decisione di donare è infatti attivata dal sistema mesolimbico, lo stesso che è collegato al cibo, al sesso e ai soldi. Quando doniamo del denaro, si innesca l’area di ricompensa e ci fa sentire bene. Vi è infatti più gioia nel dare che nel ricevere. Le neuroscienze ci consentono di comprendere come avviene questo processo, permettendo di creare degli spot ad alto valore emozionale e di raccogliere più fondi.

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9 L’illuminazione limbica può influenzare lo shopping
Sirio Greco – Manager Zumtobel

Le aziende non devono chiedersi “Che prodotto vuole il mio cliente?”, con il neuromarketing la domanda da porsi è “Di che tipo limbico è il mio cliente?”. L’illuminazione ha una capacità di influenza molto forte sui consumatori e può fornire più impulsi positivi all’acquisto, ma i consumatori non sono tutti uguali. I diversi consumatori reagiscono alla luce con emozioni differenti. L’illuminazione limbica può migliorare il senso di benessere, far sostare le persone più a lungo nel negozio, aumentare il loro livello di attivazione e incrementare il fatturato.

10 Gli spot emotivi si ricordano meglio
Patrizia Cherubino – Ricercatrice presso BrainSigns

Per un’azienda è difficile emergere, c’è saturazione informativa e cognitiva. Per quanto riguarda gli spot, l’esposizione ripetuta ad uno stimolo migliora l’approccio allo stimolo stesso. Bisogna però fare una distinzione tra spot emotivi e spot informativi. Le neuroscienze hanno dimostrato che i primi generano più interesse, meno sforzi cognitivi, più memorizzazione. I secondi richiedono invece maggiori sforzi cognitivi che non si adattano alla natura selettiva della nostra memoria. Agli spot emotivi infatti si perdonano anche un frequenza di passaggio alta, cosa che non si è disposti a fare con quelli informativi.